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I costi dei NEET visti dalla Campania

I costi dei NEET visti dalla Campania

di Ugo Marani (professore di Politica Economica presso l’Università di Napoli Federico II, presidente di RESeT)

Quando, la notte del tredici settembre del 2008, Dick Fuld, chief executive officer di Lehman Brothers noto come il “Gorilla” di Wall Street, riceveva la comunicazione del ministro del Tesoro americano Henry Paulson che la Lehman era destinata alla bancarotta, sarebbe stato difficile immaginare che, a sei anni di distanza, quegli avvenimenti avrebbero influenzato la vita, forse l’assenza di futuro, di molto giovani dei quartieri napoletani. Non che gli avvenimenti di allora di Wall Street siano la sola causa efficiente del dramma dell’esclusione giovanile in Campania; di certo quel settembre nero costituisce uno spartiacque, l’inizio di un periodo di errori di politica economica e di fideistica adesione ai dettami del liberismo, in Europa e in Italia, che avrebbe esteso a macchia d’olio, il dramma dell’esclusione sociale di giovani estranei a qualunque rapporto d’interlocuzione con le istituzioni. E non che il fenomeno non fosse già presente o esteso dalle nostre parti: già sul finire dello scorso decennio la movida notturna s’ingrossava di giovani dai labili riferimenti etici e morali, tendenzialmente eversivi e il cui reddito disponibile proveniva dalle ricche o magre casse familiari. S’infoltiva il numero dei laureati che scoprivano la completa assenza di prospettive e, quel che è più grave, il dramma si declinava per territorio e genere: la Campania più del Mezzogiorno a sua volta più dell’Italia, a sua volta più dell’Europa; la donna più dell’uomo. Scoprivamo a poco a poco un archetipo doloroso e sconvolgente: le giovani del Mezzogiorno, tra i quindici e i trenta anni e con un livello d’istruzione media, si escludevano o si autoescludevano per disperazione dal mercato del lavoro. Un dramma che tutti fingevano di soffrire o di affrontare, ma che nessuno poneva al centro del proprio agire: non il governo, immedesimato nelle tragicomiche dispute tra flessibilità in entrata o in uscita dal mercato del lavoro; non i sindacati del tutto inadatti a includere i bisogni degli outsiders nelle loro rivendicazioni; non assessori regionali, di diverso colore ma di eguale insipienza, preoccupati di tranquillizzare su quanto il dramma occupazionale campano fosse meno drammatico di altrove o di annunciare l’ultima stupefacente misura d’incoraggiamento all’iscrizione telematica di chi era irreparabilmente scoraggiato. E così partendo dai gorilla di Wall Street, passando per gli ineffabili fautori di Bruxelles dell’austerità e approdando ai politici regionali innamorati dei matching telematici, abbiamo sapientemente costruito il nostro esercito di giovani, ragazzi e ragazze, desaparecidos, le nostre “Ellas danzan solas” di finanza, liberismo e d’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ma, a differenza che per Sting, da noi la desaparición riguarda tanto i giovani quanto chi dovrebbe occuparli. Matching tra fantasmi, non c’è che dire come modello di policy. E se gli appelli alla tragicità delle vicende umane hanno fin qui fatto poca breccia in tempi come i nostri, sarà il caso di rammentare i costi economici dell’esclusione giovanile in Campania, i quali, seppur poco visibili come transazioni effettive, sono quotidianamente all’incasso. Tralasciamo i costi sociali dell’inoccupazione, ovvero il totale disinteresse nei confronti della vita politica, il livello irrisorio di fiducia nelle istituzioni, le modalità di aggregazione sempre meno prossime alle convezioni del politically correct, e soffermiamoci all’aspetto meramente materiale. Un qualunque diplomato che non studi, non lavori o non si formi è, allo stesso tempo, uno spreco di potenziali risorse e un onere di bilancio pubblico, in termini di sussidi, indennità, imposte e contributi sociali non versati. Erogazioni effettive e mancati introiti, cui i cultori dell’austerità, regionali e nazionali, dovrebbero, se coerenti, fare un minimo di attenzione. E invece no: il bilancio pubblico non si migliora includendo generazioni perdute ma escludendone altre, nella miope congettura che sia meglio una maggior contraddizione domani che un tentativo di miglioramento oggi. Domani, quando la classe politica muterà. Un insano differimento al futuro, del tutto simile a quello della finanza derivata per la cosmesi dei bilanci dei comuni.

Al 2013, secondo le stime dell’Istat che recenti ricerche congiunte di RESeT e Gesco considerano sottovalutate di almeno il 18%, la Campania annovera un esercito di giovani inoccupati che supera, di certo, il mezzo milione di unità, di cui due terzi nella provincia di Napoli, il 15% in quella di Caserta e il 14% in quella di Salerno. Se adoperiamo il costo unitario di finanza pubblica per un NEET italiano stimato da Eurofound, che approssima per difetto le gravi peculiarità del caso campano, arriviamo alla modica cifra di oltre sei miliardi di euro. Non male per una regione il cui unico cavallo di battaglia è costituito dal perverso principio della finanza sana. Si tralasciano i giovani illudendosi che si risparmi, con lo stesso dissennata sufficienza che si ha in Regione per le infrastrutture, i trasporti e i servizi pubblici. Non ci s’illuda: il tempo, da sempre, presenta il suo conto con tassi di usura.

Scuola democratica
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