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La buona scuola è anche apprendistato!

La buona scuola è anche apprendistato!

di Anna Orsi (Dottoressa in Scienze dei servizi giuridici)

Premessa

L’apprendistato italiano, nonostante assolva un ruolo importante, contrariamente a quello tedesco, è caratterizzato da alcune lacune che si evidenziano nella disciplina legislativa di cui è stato oggetto. In Italia, pur essendo sempre stato presente, il contratto di apprendistato non è stato sfruttato al meglio e non ha reso gli effetti tanto attesi e, nello stesso tempo, accertati in altri Stati europei. Oggi il disegno di legge “La Buona Scuola” del Governo Renzi evidenzia un passo avanti per l’istituto, in quanto si incammina verso un sistema di alternanza scuola-lavoro, optando per esperienze di apprendistato.

Definizione ed evoluzione legislativa recente

L’apprendistato è un contratto di lavoro che intercorre tra azienda e giovane lavoratore, che si propone di conciliare formazione e lavoro e che basandosi sull’alternanza scuola-lavoro consente al giovane di acquisire le competenze generali e specifiche, spendibili nel mercato del lavoro nazionale ed internazionale. Inoltre, sfruttando al meglio il valore dell’istruzione e della formazione, si presta ad essere il migliore canale di accesso dei giovani al mercato del lavoro.

A differenza dell’apprendistato tedesco, in Italia questo contratto, nonostante assolva un ruolo importante, è caratterizzato da alcune lacune che si riscontrano oltre che nell’andamento del mercato del lavoro, caratterizzato da una forte disoccupazione giovanile, soprattutto nella disciplina legislativa di cui è ed è stato oggetto.

Dopo la lunga fase di crisi che aveva contrassegnato l’apprendistato, accentuata dalla concorrenza con il Contratto di formazione e lavoro (CFL da ora), c’è stato un ritorno dello stesso, dapprima con il “Pacchetto Treu” (L. n. 196 del 1997), successivamente con la “Legge Biagi” (L. n. 30 del 2003), che diversificò l’unica fattispecie prevista, in tre nuove tipologie: l’apprendistato qualificante, che permette di conseguire una qualifica professionale e un titolo di studio; quello professionalizzante, che permette di conseguire competenze di base trasversali e tecnico-professionali; quello di alta formazione, che permette di assumere i giovani per conseguire un diploma di maturità, la laurea, un dottorato di ricerca o di alta formazione.

L’obiettivo era favorire l’occupazione giovanile, valorizzando la formazione degli apprendisti e ridurre la frattura creatasi tra sistema produttivo e sistema d’istruzione. Però, i risultati attesi sono stati al di sotto delle aspettative; infatti dai dati dell’ XI rapporto Isfol emerge che a seguito della L. Biagi si è avuta una contrazione del numero di occupati in apprendistato, pari al -8% nelle regioni del Nord Italia e pari al -12% nelle regioni del Sud. Inoltre, alla base dell’insuccesso dell’apprendistato ci sono ulteriori motivi: a) la disciplina normativa è complessa e difficile da attuare; b) il conflitto con le Regioni nella fase di attuazione, fra cui la stessa incerta o mancata normativa regionale; c) il difficile intreccio della normativa regionale con la disciplina definita dalla contrattazione collettiva.

Il Testo Unico del 2011

Fino all’emanazione del Testo Unico (D.lgs n.167 del 2011), le varie leggi di cui l’apprendistato è stato oggetto, anche se cercavano, tutte, di assolvere l’obbligo formativo, non affrontavano il problema di fondo che caratterizza l’apprendistato italiano cioè quello di essere slegato dal percorso scolastico e lontano dalla collaborazione con le parti sociali, collaborazione necessaria per dar vita ad un sistema di alternanza scuola-lavoro, almeno nella tradizione del modello sociale europeo.

È proprio con tale obiettivo che c’è stato un ritorno all’apprendistato con il Testo Unico del 2011, il cui punto di partenza era, in linea di principio il modello duale tedesco, che con alla base l’apprendistato permette di effettuare l’intero percorso di istruzione in alternanza tra studio e lavoro, favorendo l’accesso mirato dei giovani nel mondo del lavoro.

Il T.U ha dato una nuova veste al contratto di apprendistato, evitando la troppa burocrazia e semplificando la disciplina, resa unica su tutto il territorio nazionale; ha cercato di favorire la qualità e la produttività del lavoro, facilitando con l’apprendistatosia l’apprendimento di un mestiere, sia l’acquisizione di un titolo di studio e qualificandolo come un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Inoltre,ci si rende conto, per la prima volta, che è necessario valorizzare un dialogo con le parti sociali, rispettando il ruolo delle Regioni e della contrattazione collettiva.

Il limite più grande del T.U. stava proprio nella difficoltà di esportare l’apprendistato tedesco e plasmarlo alla realtà italiana, in cui vige un sistema scolastico sequenziale, slegato al mondo del lavoro, un sistema in cui non c’è una collaborazione e un dialogo tra parti sociali, in cui i giovani sono lasciati soli nella fase di accesso al mondo del lavoro e non possono nemmeno avvalersi di uffici per l’impiego efficienti, in grado di plasmare l’offerta formativa in base alla domanda di lavoro.

Il fallimento del Testo Unico

Come emerge dai rapporti di monitoraggio Isfol, il ritorno all’apprendistato con il T.U è stato tormentato perché gli effetti desiderati non sono stati sviluppati; il numero dei contratti concluso è stato di gran lunga inferiore a quello atteso e l’apprendistato italiano non è in grado, contrariamente a quello tedesco, di affrontare periodi di crisi economica e di recessione. A evidenziare ciò sono i dati statistici contenuti nel XIV rapporto Isfol, che dimostra un calo pari al -4.6% dei contratti di apprendistato.

L’insuccesso è evidenziato anche dal fatto che a meno di un anno dall’emanazione del T.U, i vari governi sono intervenuti nuovamente in materia, così come anche dall’ultimo Jobs Act, che optando per la semplificazione, ha messo in discussione il tema della formazione.

Ovviamente non vi può essere apprendistato senza formazione!Lo scopo dello stesso è qualificare i giovani, cioè permettere loro di acquisire competenze specifiche e trasversali che consentano loro di ridurre il gap d’esperienza lavorativa che li separa dagli adulti e di inserirsipiù facilmente nel mondo del lavoro. Per le imprese,assumere un apprendista è vantaggioso, perché godono di agevolazioni economiche e contributivee perché investono su un lavoratore che sarà idoneo al lavoro chiamato a svolgere.

Alcuni suggerimenti di policy

Per funzionare davvero, l’apprendistato dovrebbe essere inserito all’interno di un sistema duale, al pari di quello tedesco, che lega la scuola al mondo del lavoro e in cui prevale il cd. modello “study-while-working“, si studia e si lavora contemporaneamente; che favorisce la transizione veloce dei giovani nel mondo del lavoro, mettendo a disposizione delle imprese lavoratori istruiti e competenti; che poggia le sue basi sul dialogo forte che intercorre tra parti sociali, aziende, famiglie, studenti e centri di collocamento. Questo dialogo permetterebbe un costante monitoraggio del mercato del lavoro, consentendo di capire i settori in cui è opportuno incentivare e che sono in via di sviluppo e i posti di lavoro vacanti che dovranno essere ricoperti. Tutto ciò consente di modellare l’offerta formativa in base alle esigenze delle imprese, riducendo il mismatch e partendo proprio dai piccoli centri.

Nel sistema duale la presenza statale non è marginale, ma costante, si incentiva e si punta al massimo sul capitale umano offerto dal sistema scolastico, idoneo al sistema produttivo perché è il capitale umano la forza dello Stato.Inoltre è l’interazione e l’intero sistema ben strutturato, in cui ogni attore sociale ha un ruolo ben definito, che rende il sistema duale forte ed in grado di far fronte anche a periodi di crisi economica e recessione. Anche l’Italia dovrebbe tendere verso tale sistema!

Il Governo Renzi sembra essere finalmente sulla buona strada perché ha capito che i problemi legati all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro sono strutturali e legati al sistema scolastico, infatti il disegno di legge “La Buona Scuola”, che racchiude la riforma del sistema scolastico italiano, ha posto delle solide basi per facilitare la transazione dei giovani nel mercato del lavoro, optando per esperienze di apprendistato che dovranno coinvolgere tutti gli studenti degli istituti tecnici e professionali e non solo quelli ad alto rischio di abbandono. Il riferimento è naturalmente alle 200 ore di alternanza scuola lavoro che non saranno più solo per alcuni, ma per tutti. Le basi ci sono tutte. Speriamo che si producano gli effetti desiderati!

Scuola democratica
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